Il primo approccio psicoterapeutico ad essersi imposto al grande pubblico è stato quello psicodinamico, noto come Psicanalisi, inaugurato agli inizi del 1900 dall’opera pionieristica di Sigmund Freud e successivamente portato avanti da numerosi Autori come Melanie Klein, Carl G.Jung e Donald Winnicott.
L’idea di base è che sintomi e difficoltà psicologiche nascano da conflitti irrisolti, dovuti alla tensione dinamica tra impulsi (pulsioni) inconsci e aspetti psichici maggiormente orientati all’adattamento sociale, interiorizzati nell’infanzia attraverso il processo educativo (Io e Super-Io). Scopo della terapia sarebbe quindi quello di portare alla luce tali conflitti, aumentando la consapevolezza di sé dell’individuo e la sua capacità di adattamento alla realtà.
Nella psicoanalisi classica il ruolo del terapeuta è apparentemente passivo, il lavoro psicoterapeutico focalizzato sul passato, richiedendo spesso anni e diverse sedute a settimana. Negli approcci psicodinamici più recenti il terapeuta si mostra più attivo e attento al presente.
Intorno agli anni ‘40-’50 si diffusero le terapie umanistiche ed esistenziali, come la Terapia centrata sul Cliente di Carl Rogers e la Terapia della Gestalt di Frederick Perls. Anch’esse mirano al raggiungimento di “insight“ (“illuminazioni”), cioè prese di consapevolezza del cliente sulle motivazioni profonde dei propri comportamenti, ma partono dal presupposto che gli individui siano già dotati delle risorse necessarie per la comprensione e la modificazione di se stessi. Alla base delle limitazioni degli individui ci sarebbero, secondo queste teorie, una serie di influenze negative (condizionamenti profondi) che impedirebbero l’emergere del vero Sé e lo sviluppo del proprio “potenziale umano”. L’obiettivo terapeutico sarebbe quindi quello di riattivare la tendenza all’autorealizzazione degli individui.
Il terapeuta lavora per creare un “clima facilitante” in grado di contrastare i condizionamenti negativi del passato, attraverso una comprensione empatica e una considerazione positiva incondizionata del cliente e dei suoi sentimenti.
L’approccio sistemico-familiare, sviluppatosi verso gli anni ’50-’60, si è avvalso dei contributi teorici di altre discipline, come la cibernetica e la Teoria dei Sistemi applicata in ambito umanistico da Gregory Bateson. Tra i suoi concetti principali, l’intuizione che un 'sistema' (in terapia: una coppia o una famiglia) è un qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue parti e che al suo interno, all’azione di una qualsiasi delle sue parti, corrisponderebbe una “retroazione” delle altre. Da tutto questo, in psicoterapia, deriverebbe l’opportunità di trattare non l’individuo singolo (il cosiddetto “paziente designato”) ma la coppia o famiglia nella sua interezza, intesa come un ‘tutto unico’ i cui membri si influenzano a vicenda.
Questo approccio cerca di comprendere le problematiche del singolo o della coppia alla luce della storia sia individuale che delle rispettive famiglie di origine, lavorando sulle dinamiche attuali della famiglia o della coppia (come stili di comunicazione, suddivisione dei ruoli) per migliorarne consapevolezza e efficacia.
Le dinamiche del condizionamento e dell’apprendimento sono state esplorate più approfonditamente dai teorici dell’approccio comportamentale o behaviourista, come Burrhus Skinner, Joseph Wolpe e Ivan Pavlov. Attraverso osservazioni ripetute ed esperimenti di laboratorio, negli anni ’50 e ‘60 questi e altri Autori hanno identificato fenomeni come il condizionamento classico e il condizionamento operante (associazioni di risposte emotive e comportamentali a stimoli precedentemente neutri; ad esempio nelle fobie le persone ‘imparano’ ad associare la paura a oggetti o situazioni che prima non temevano). Nasce così il paradigma S-R (Stimolo-Risposta) secondo il quale le persone, se sottoposte agli stessi stimoli, avrebbero la tendenza a reagire allo stesso modo.
Queste teorie hanno dato origine a tecniche terapeutiche originali ed efficaci, come la desensibilizzazione sistematica (b>tecnica d’elezione per la terapia delle fobie), permettendo inoltre di comprendere meglio anche strumenti usati più o meno consapevolmente da tutti i terapeuti, come il rinforzo positivo e il modeling.
Questo approccio si concentra sull’identificazione e la modifica dei fattori che contribuiscono al mantenimento dei disturbi nel presente, senza considerarne l’origine remota o inconscia.
Il paradigma S-R è stato poi ripreso e arricchito intorno agli anni ’70 dalle teorie di stampo cognitivista. A partire dai contributi di varie discipline (tra le altre: la cibernetica, la Teoria dell’informazione e la Teoria dell’attaccamento dello psicanalista John Bowlby) si è evidenziato come spesso le reazioni degli individui non siano modellate esclusivamente dagli stimoli a cui vengono sottoposte, ma possano variare notevolmente a seconda delle loro caratteristiche personali (paradigma S-O-R, cioè Stimolo - Organismo - Risposta).
Grazie ad Autori come Aaron Beck e Albert Ellis è così emerso il ruolo fondamentale, nell’influenzare il benessere o malessere delle persone, del loro modo di pensare e di attribuire significati a se stessi e agli eventi. Rispetto alle scuole di pensiero precedenti, gli individui vengono considerati più attivi nel loro rapporto con la realtà e caratterizzati da intenzioni e obiettivi personali.
Questo tipo di approccio negli ultimi anni si è imposto all’attenzione generale per il suo collegamento continuativo con la ricerca e gli sviluppi scientifici, che ha consentito la messa a punto di modelli terapeutici particolarmente efficaci caratterizzati da tempistiche piuttosto brevi.
Terapeuta e cliente collaborano insieme per comprendere cosa mantenga attualmente il problema, oltre a come storicamente si sia creato, al fine di sviluppare, accanto a una più profonda consapevolezza di sé, anche nuove risorse e soluzioni, sempre in linea con la personalità e i desideri della persona.